Ferrovia Spoleto-Norcia: come era, come è, cosa sarà
Un mito, quello della ferrovia Spoleto-Norcia, che corre sui fili della memoria dei più anziani, che si racconta come una favola leggendaria che i bambini, abituati alla freddezza di un mondo tecnologicamente avanzato, vivono come qualcosa di surreale e, in un certo modo, assurdo.
Nessuno sa dire, in realtà, quanto questo pur breve tracciato ferroviario abbia davvero contato per un territorio come quello della Valnerina. Forse, quel piccolo trenino che correva e sbuffava tra le montagne, lungo i corsi dei fiumi, tra le case sparse nelle macchie fitte, non raccoglieva abbastanza utenze per giustificarne un’esistenza sicuramente onerosa e pesante per un’economia nazionale che andava a rilento e che necessitava di oculatezza. Ma proprio quella piccola ferrovia, oggi, avrebbe rappresentato un patrimonio monumentale perfettamente integrato nell’ambiente ospitante, invece di aleggiare come un fantasma rimpianto tra le anime e i cuori dei suoi più appassionati estimatori. Ora, per non dimenticare, per amore, per devozione o per rimpianto, chi vuole, può ripercorrere quel vecchio tracciato immaginando lo stridere delle rotaie, l’odore acre del fumo della locomotiva, o può avvertire la presenza di un colosso sconfitto e abbattuto, cercando, almeno nelle sue speranze più vive, di trovarne ancora un pezzo, di poterne fotografare un tratto, di toccarne la grandezza nonostante gli anni trascorsi. Mi è capitato di camminare lungo il suo sentiero, di arrampicarmi sulla dorsale del monte retta a fragili rami di alberi per evitare una galleria mastodontica e chiusa, di calpestare tronchi di legno che ho immaginato far parte delle rotaie o sassi che, in un romanticismo ormai antico, rivedevo sormontati da un piccolo treno troppo grande per i suoi anni.
Oggi non resta che questo, la memoria e qualche pagina sbiadita sui libri di storia locale.
Di tutto ciò che poteva esistere e che non c’è ne è stato fatto scempio con una razzia di materiale autorizzata al momento della decisione che voleva la sua chiusura, con la speranza, forse, di eliminarne un’anima troppo grande per rimanere confinata entro i limiti di una pura tangibilità.