Ferrovia Spoleto-Norcia: progettazione e realizzazione
Il progetto Carosso venne approvato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e il 31 agosto 1912 fu stipulata la convenzione tra il Consorzio dei Comuni della Montagna e l’Impresa. Nonostante Carosso era di fatto l’ingegnere ufficiale dell’intera opera, il suo progetto era considerato puramente di massima, quindi, non appena fu firmata la convenzione, venne incaricato l’ingegnere Erwin Thomann di riprendere, ristudiare e rendere effettivo il progetto Carosso.
Il 30 aprile del 1912 il Municipio di Spoleto deliberò la concessione della ferrovia Spoleto-Norcia, dando l’incarico della costruzione alla Società Subalpina di Imprese Ferroviarie, rappresentata dall’ingegnere Giacomo Sutter.
Il progetto Thomann si differenzia dal progetto Carosso principalmente nel primo tronco della ferrovia, quello che da Spoleto arriva fino a Sant’Anatolia. Innanzi tutto la pendenza, che in questa nuova visuale arriva fino al 45‰ anziché il 33 sotto i quali si era mantenuto il predecessore Carosso. Quest’ultimo aveva previsto, poi, un itinerario che si avvicinava alla stazione di Eggi, ma che, di fatto, non teneva conto di alcuna stazione sino Sant’Anatolia; Thomann, invece, aveva ipotizzato una stazione a Caprareccia. Da Sant’Anatolia si risale per Piedipaterno, Borgo Cerreto, Triponzo, per le Valli del Corno e del Sordo sino a Norcia. Altra differenza fondamentale era che il Carosso aveva progettato un tratto in sede promiscua ed usava per 2/3 la strada provinciale, mentre Thomann era per una sede propria. Il nuovo tracciato che si andava delineando aveva una lunghezza totale di 56565,58 metri, di cui 32245,97 diritti e 24319,61 curvi. Trentatrè tratti di questi curvi aveva un raggio di 70 metri, settantadue tra 80 e 100 metri e i restanti cento tratti superavano i 100 metri. Si prevedevano nove stazioni e sette fermate di cui una, quella di Biselli, facoltativa. A Spoleto il nuovo progetto stabiliva una rimessa con tre binari con annessa officina per le riparazioni. Il progetto esecutivo prevedeva gallerie per una lunghezza complessiva di 4694,50 metri, le più importanti delle quali ruotavano intorno al tragitto Spoleto-Sant’Anatolia. Thomann aveva previsto, a vista dell’idea secondo cui il servizio viaggiatori sarebbe stato disimpegnato per metto di automotrici e quello merci da carri trainati da un locomotore, la presenza di 2 automotrici a quattro assi, 4 automotrici a due assi, 1 locomotiva elettrica per treni merci a quattro assi, 8 vetture viaggiatori a due assi, 8 carri merci chiusi, 6 carri aperti a sponde alte, 3 carri aperti a sponde basse ed 1 coppia di bilici per trasporto legname.
In fase di realizzazione, iniziata nel 1913, le modifiche al progetto Thomann furono piuttosto lievi considerando l’entità dell’opera. I più rosei propositi si fissavano di terminare i lavori entro trenta mesi, ma l’iter fu così travagliato per cause storiche (la 1° guerra mondiale fu determinante) che l’effettiva inaugurazione si ebbe solamente nel 1926. Il primo anno si richiese l’impiego di circa duecento operai, supervisionati da Erwin Thomann e altri grandi ingegneri come Sutter, Hoffman, Romualdi, Basler, Rimini, Castellano e Cipriani. Nel 1915 la linea, partita da Spoleto, aveva già raggiunto il ponte di Cortaccione tramite una galleria di un centinaio di metri scavata nella roccia. Lo stesso ponte era stato eretto per 25 metri su un totale di 60, testimoniando in modo evidente come le opere procedessero celermente ed efficentemente. Ad una visita ai cantieri da parte delle Autorità, il 7 giugno del 1916, si evinceva che il viadotto di Cortaccione era quasi ultimato, mentre quello della Caprareccia si avviava al completamento; la galleria, dal lato Spoleto, era già stata scavata per 700 metri e per 250 metri dal versante del Nera. L’avvicinarsi della prima guerra mondiale, però, comportava anche fattori negativi, quali una consistente diminuzione della manodopera impiegata: l’inaugurazione, già dilazionata fino al 1918, dovrà slittare ancora più avanti. Nel 1919 cominciò il secondo ed ultimo atto della costruzione. L’energia elettrica venne fornita dalla Centrale di Papigno con corrente trifase sino a Piedipaterno, dove veniva trasformata in tensione a 500 V che alimentava due motori sincronodinamo di 500 kw l’uno. La ditta Carminati e Toselli di Milano cominciava a procurare il materiale rotabile. Come già annunciato i lavori terminarono definitivamente nell’estate del 1926, dopo una quadruplicazione dei costi preventivati e dodici operai morti per l’esplosione di mine.